Qualche tempo fa, quando il Coronavirus apparteneva semplicemente ad un film fantascientifico, mi trovavo in pizzeria sola con i miei figli. La loro voglia di osservare il pizzaiolo lavorare mi faceva avere, per non perderli di vista, una posizione tale da usufruire, non volendo, di un punto di ascolto e osservazione del tavolo attiguo al nostro, dove un padre ed una figlia conversavano tranquillamente.
Capisco subito che si tratta di una famiglia separata, era un venerdì sera e intuisco che si tratta del fine settimana in cui la bambina starà dal babbo.
Non volendo sento il padre domandare alla figlia
– Tesoro ti hanno dato molto compiti?
– No, e poi matematica l’ho già fatta.
– Di già??? E quando che oggi è venerdì? Ti sei messa a fare i compiti oggi pomeriggio dopo la scuola?
La bambina inizia ad agitarsi sulla sedia e si capisce che c’è qualcosa che la inquieta e sotto lo sguardo attento del padre in attesa di una risposta, dopo qualche minuto afferma
– No è che mi ha aiutato Massimo a farli…
Così la bambina abbassa la testa e osservando il piatto continua il suo dondolio sulla sedia.
Il padre comprende al volo lo stato d’animo della figlia e i suoi occhi vengono attraversati da tristezza mista ad una profonda tenerezza.
– Giulia, avevi paura di dire questa cosa al babbo perché pensavi che potessi starci male? Tesoro mio guarda che lo so che Massimo e mamma stanno insieme, non è un problema, sono contento che mamma possa essere serena con lui. Non ti devi preoccupare, anzi se Massimo è bravo a matematica meglio, perché io non ci capisco nulla, se poi ti fa fare anche inglese il fine settimana abbiamo anche più tempo per noi.
In quel momento mi imbarazzo profondamente per aver ascoltato e carpito un chiaro momento d’intimità di una famiglia, mi sento come aver guardato dal buco della serratura, quindi richiamo frettolosamente i miei figli al tavolo e mi rimetto composta.
Quella scena però continua a muoversi nella mia testa. Penso a quella bambina e provo una grande tenerezza, mi dico
– Povera bambina chissà che fatica deve fare…
Ma poi riflettendo mi rendo conto della fortuna di quella bambina. Mi rendo conto del profondo legame che padre e figlia hanno e di come quel legame sia protettivo in una situazione potenzialmente a rischio di sofferenza.
La bambina che tenta di proteggere il padre e il conflitto di lealtà in cui si trova viene risolto dal genitore che si connette a lei emotivamente, sollevandola da una posizione scomoda e incastrata che stringe la piccola in una morsa di sentimenti.
Mi rendo conto di aver visto una famiglia unita anche se separata, in cui la potenza del legame offre l’opportunità di essere visti dentro, sentiti con il cuore e con la mente.
Oggi il mio pensiero va a tutte quelle famiglie separate, divorziate che si trovano ad attraversare questo momento così difficile in cui le distanze di sicurezza, l’impossibilità degli spostamenti offrono difficoltà maggiori.
Conosco famiglie che per motivi di sicurezza hanno deciso di fare stare il figlio/a una settimana con la mamma ed una con il babbo. Ecco immagino quella settimana in casa soli nell’attesa di una telefonata, sperando che una settimana diventi veramente solo “qualche giorno”. Immagino quei bimbi che si preoccupano per il genitore solo a casa.
E poi penso a quelle famiglie che questo coronavirus ha separato, a quei genitori che prestando servizio in prima linea, nella lotta a questo virus infame, che si trovano a scegliere o si vedono obbligati a non rientrare a casa trovando una sistemazione alternativa di isolamento, a non vedere i propri cari, i propri figli.
Gira da qualche tempo una pubblicità in cui ognuno si scatta una foto a braccia aperte, isolato nella propria casa immaginando di toccare l’altro. Una rappresentazione fisica della connessione, del legame, si perché il legame non ha distanze. Il legame tiene stretti, non molla, stringe fino a fare male.
Il vuoto, la mancanza, la nostalgia sono tutte cose generate dalla qualità del legame e paradossalmente ci accorgiamo della sua potenza proprio quando si crea la distanza perché fa male.
Questo ci deve portare a pensare che quel dolore, quella sofferenza è il prodotto di un qualcosa che ci lega in maniera profonda, come una corda alla quale siamo legati: più la tiri, più stringe e più fa male. E allora teniamoci a quella corda. Sentiamola nella sua potenza, con coraggio, consapevoli che non importa cosa questa condizione vorrebbe portarsi via, noi resistiamo schermati dall’amore dei nostri cari.
Dott.ssa Caterina Borghini, Terapeuta Familiare